Accuse contraddittorie e cambi di testimonianze, perché Alberti è stato assolto

Il ruolo dei collaboratori di giustizia. I 12 anni di procedimento

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Un cumulo di accuse spesso contraddittorie, ambigue, nebulose, con collaboratori che cambiano con gli anni le loro dichiarazioni sfumandole, non indicando quei riscontri che alle indagini sarebbero dovuti arrivare. In poche parole, Pasquale Aliberti, sindaco di Scafati, stante questo quadro, non poteva non essere assolto perché il fatto non sussiste nel processo che suo carico e di altri imputati si è dipanato per anni.

La ricostruzione puntuale fatta da La Città di un processo molto mediatico, fin dalle fasi investigative, ma poi contraddistintosi tra dichiarazioni rese e poi sminuite nel tempo da coloro che l’avevano avanzate. Al centro c’era un patto che sarebbe stato stretto tra il clan Loreto-Ridosso, composto tra gli altri da Romolo Ridosso e Loreto Alfonso, e Aliberti per procacciare voti in cambio della promessa di appalti e la candidatura di Andrea Ridosso (nipote di Romolo).
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Importanti le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Alfonso Loreto, figlio del boss Pasquale, incorso più volte in contraddizioni su dati e sulle modalità di esecuzioni del patto, per giunta riferitegli in quanto nel 2015 era detenuto. Sulla candidatura di Andrea Ridosso, Loreto jr ha poi concluso che era estraneo al clan e voleva candidarsi per un’aspirazione personale.
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LA COLLABORAZIONE DI LORETO
La collaborazione di Loreto. Scrivono i giudici del tribunale di Nocera Inferiore nella motivazione nella sentenza assolutoria: «Proprio partendo dall’analisi delle propalazioni accusatorie rese dal Loreto Alfonso (giudicato in rito abbreviato per lo stesso fatto e per condotte di estorsione e poi divenuto collaboratore di giustizia), dichiarazioni indubbiamente di maggior impatto nella fase investigativa, si rileva che in sede dibattimentale il narrato reso dal predetto… ha mostrato molte ombre ed incertezze, sia in merito a persone coinvolte nella vicenda…, che al contenuto degli incontri per il cosiddetto “patto” di cui ha narrato, facendo riferimenti spesso contraddittori ed imprecisi sia su date che su luoghi». Un peso, stante la lettura del collegio, che ha tagliato alla base il processo.
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LE TESTIMONIANZE
Del resto, poco prima, i giudici avevano sottolineato anche: «pur nel vasto quadro probatorio sopra esposto, va subito osservato che elementi probatori concreti e circostanziati per la attribuzione della condotta ex art 86 DPR 570/60 per le elezioni del 2013 e poi nella formulazione ex art 416 ter c.p. (per l’anno 2015) nei confronti dell’imputato si sostanziano in prove per lo più dichiarative… nonché dal tenore delle chat di whatsapp intercorse fra Ridosso Andrea e Ridosso Luigi, subito dopo le elezioni 2013, dal qualche foto estrapolata dal cellulare dell’imputato Ridosso Andrea e raffigurante una sola scheda elettorale in favore del candidato Barchiesi Roberto, nonché dalle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche, per lo più fra Ridosso Luigi e Petrucci Ciro nel settembre 2014 e, dunque, circa un anno e più dopo le elezioni comunali del 2013». Insomma, solo dichiarazioni.
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«Molto meno concreto e fattuale – notano i giudici -, invece risulta il materiale probatorio per le elezioni regionali del 2015, giacché basato sulle dichiarazioni del Loreto Alfonso, su quelle rese in incidente probatorio dal Longobardi Aniello, su esito tabulati telefonici ed altro nonché sulla avvenuta assunzione a tempo determinato nel febbraio 2015 e protrattasi per pochi mesi, di Ridosso Andrea presso cooperative inserite nel cd. Piano di Zona 1…».
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LA PREMESSA
Eppure i giudici avevano premesso che Pasquale Aliberti è «figura centrale dell’intera vicenda processuale e su cui l’Accusa ha concentrato nel presente dibattimento gran parte dell’attenzione investigativa – tramutatasi in documentazione prodotta e numero di testimoni escussi o di cui si è acquisito il verbale di sommarie informazioni rese in fase di indagini preliminari (oltre ai testimoni, a cui la stessa Accusa ha rinunciato come d’altronde hanno fatto alcune Difese), talvolta anche testimonianze rese in dibattimento su temi investigativi anche non percorsi dagli inquirenti né di alcun rilievo per le imputazioni contestate…».

In particolare il collegio ha scritto: «…va osservato che questi – Pasquale liberti, ndr -, già Sindaco del Comune di Scafati, è un personaggio poliedrico in campo politico, con una spiccata predisposizione alla comunicazione con i propri elettori, peraltro su un territorio da anni connotato da contesti criminali anche organizzati, ove spesso la conoscenza e la frequentazione con amici e/o sostenitori politici ha creato, nel tempo, quella cd. “zona grigia” che ormai caratterizza da decenni il fenomeno mafioso in Italia.
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Non a caso, storicamente i sodalizi criminali di stampo mafioso, soprattutto in determinate aree geografiche, nascono e trovano terreno fertile proprio in quei contesti ambientali in cui la politica e la società civile lasciano colpevolmente spazi vuoti, ovvero dove la stessa cittadinanza ricerca, in assenza di reale sostegno istituzionale, forme di protezione o altre utilità che consentono ai mafiosi di divenire, attraverso la “loro” mediazione in ambienti soprattutto imprenditoriali e commerciali, interlocutori con il mondo politico».
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I magistrati evidenziano: «In tal modo, viene a crearsi quella forma di contiguità fra i due mondi che, tuttavia, spesso risulta “sfumata” e non sempre integrante tout court una condivisione di obbiettivi e di mezzi tali da attribuire condotte concrete di rilievo penale». Con queste premesse, il processo è franato anche per tutte le altre posizioni, dopo oltre 12 anni di procedimento giudiziarie, con un lavoro delle difese degli avvocati Silverio Sica per Pasquale Aliberti e l’avvocato Roberto Acanfora per ridosso Andrea.

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