L’avvocato Alfonso De Vivo parla all’indomani della sua assoluzione per una vicenda paradossale che lo ha portato in carcere e gli è costato anche le dimissioni da consigliere comunale di Castel San Giorgio
Schivo, amante del diritto e dell’impegno in politica, finito in carcere nell’ambito dell’inchiesta “Ground Zero” sulle mazzette ai giudici tributari a Salerno. Nel prosieguo delle indagini, però, è stata la stessa procura di Salerno a che ne aveva ottenuto l’arresto a chiederne l’assoluzione.
Sembrava una brutta esperienza arrivata al capolinea per l’avvocato Alfonso De Vivo e per l’azienda di famiglia, la Facomgas. Nonostante questo, si era voluto dimettere dal consiglio comunale di Castel San Giorgio, dove era stato uno dei prime eletti, e rinunciare alle collaborazioni universitarie. Ma il tribunale di Salerno, nonostante la richiesta di assoluzione avanzata dalla procura, lo ha condannato a una pena severa.
È servita la sentenza della Corte d’Appello che condannerà giudici tributari e altri imputati, per stabilire che con quella brutta vicenda l’avvocato sangiorgese non aveva nulla a che fare, assolvendolo per non aver commesso il fatto di cui era imputato.
Avvocato, che giudizio dà di questa sua vicenda giudiziaria?
«Innanzitutto devo subito ringraziare il professor Giuseppe Della Monica, mio legale, che in questi tre anni, a partire dal colloquio in carcere, è stato per me come un fratello maggiore. Tante volte mi ha tutelato ed aiutato, soprattutto nei momenti più difficili.
Non è stato facile nemmeno per lui, ed ieri era molto provato malgrado decenni di esperienza professionale. Infine una medaglia va a mia moglie che, più di tutti, ha dovuto sopportare da vicino, tutti i giorni, il mio stato d’animo. Un’altra medaglia va ai miei genitori. Penso che il loro dolore sia stato il peggiore di tutti. Sono padre anch’io di 2 bambini, e non posso nemmeno immaginare cosa hanno provato».
Ok, ma sulla vicenda cosa dice?
«Sono stato arrestato e per cinque giorni sono stato in carcere pur se non c’era alcun elemento a mio carico. In primo grado sono stato condannato a 4 anni e mezzo malgrado la richiesta di assoluzione avanzata dalla stessa Procura della repubblica (cosa che accade pochissime volte). Una sentenza che l’avvocato Della Monica nell’arringa finale ha definito “folle”».
I momenti più difficili della storia?
«Sono tanti. Ho dovuto davvero ingoiare troppi rospi. E non solo per i problemi intrinseci ad una vicenda difficile. Molte volte infatti mi sono sorpreso per la cattiveria manifestata nei miei confronti sui social, quasi sempre da gente che non mi conoscevano.
Professionalmente, poi, alcuni assistiti hanno preferito non farsi più seguire da me, revocandomi i mandati: un’umiliazione! Inoltre, per mia scelta di opportunità, ho pure abbandonato il percorso di collaborazione con alcune cattedre universitarie che avevo intrapreso subito dopo la laurea».
Tre anni di amarezza…
«Beh, ho dovuto rialzarmi e tenere la schiena dritta, e proprio per cercare di dimenticare ciò che è accaduto ho continuato a lavorare 10-12 ore al giorno, come mio solito: spero solo di essere riuscito a non far sentire alla mia famiglia il profondo dolore che avevo dentro, e francamente non credo di avercela fatta del tutto.
Se mi preoccupavano i giudizi degli altri? No, in realtà l’unico giudizio che mi interessava e che mi interesserà sempre sarà solo quello dei miei bambini quando cresceranno».
Lei si è dimesso dalla politica…
«Se non mi fossi dimesso nel giugno 2020, dallo scorso novembre colui che mi ha sostituito, che era secondo dei non eletti con la metà dei miei voti, sarebbe tornato a casa e io sarei rientrato, ma all’epoca ho fatto una scelta di rispetto verso la sindaca (che mi invitava a non dimettermi), verso i miei compagni di lista e, soprattutto, verso l’elettorato: che senso avrebbe avuto rientrare solo per gli ultimi otto mesi? Era giusto che chi mi sostituiva avesse il tempo per fare qualcosa di buono».
Cosa le ha insegnato questa vicenda?
«Molte cose. Le carceri sono in uno stato indecente: la loro riforma dovrebbe essere la prima da attuare. Se lo Stato decide di trattenere un essere umano, lo deve fare in un modo consono ed adeguato. Ho visto cose raccapriccianti che un Paese civile non può tollerare».
A giugno si vota per le elezioni comunali a Castel San Giorgio: lei si candiderà?
«Non credo proprio!».