Necessari altri 700 milioni di euro per Bagnoli, la madre degli affari in Campania

A che punto è e cosa serve per completare un intervento che ha segnato, segna e segnerà la vita politica ed economica di tutta la regione

Il risanamento di Bagnoli è il più grande progetto per il Mezzogiorno di recupero di un’area. E’ l’affare per l’eccellenza. Un affare per la città di Napoli che recupera una delle aree più belle e grandi da utilizzare ai fini turistici che per vastità e importanza è forse la principale d’Italia. Per il suo destino si sono fatto e disfatti accordi politici, ci sono stati scontri aperti nel mondo dell’impresa quanto quella di ogni potere pubblico e private. Il destino politico della Campania passa anche per il recupero di Bagnoli e, soprattutto le prossime elezioni. Per comprendere l’importanza di questo affare, ci sono gruppi di potere che da decenni investono nell’informazione per avere una voce che potesse esprimere anche le loro opinione (principalmente le loro).

IL GIRO DI SOLDI
Bisogna premettere che chi vuole investire non solo interviene su un affare da oltre «un miliardo di lire per il recupero da realizzare con fondi pubblici, per la sola bonifica, ma anche per la costruzione di attività e la loro gestione e i miliardi si moltiplicheranno nel tempo. Al momento, commissario straordinario del governo Francesco Floro Flores dopo un sopralluogo nell’area dell’ex Italsider ha chiesto 700 milioni di euro in più rispetto ai 400 già stanziati per i lavori di bonifica: tanto serve a Bagnoli per completare un iter che dura da quasi trent’anni. L’imprenditore partenopeo, incaricato delle bonifiche nel 2018, alla fine di marzo ha fatto il punto della situazione sullo stato dei lavori in tempo di Covid e sulle prospettive della nuova Bagnoli. Nelle intenzioni della cabina di regia, le bonifiche ambientali rappresentano solo il primo passo verso il recupero del litorale di Bagnoli-Coroglio, convertito in area industriale nel 1911 con l’avvento dell’azienda Ilva, poi diventata Italsider. Attraverso la ricostruzione della Città della Scienza, distrutta da un rogo nel marzo del 2013, e numerosi altri interventi infrastrutturali, c’è la volontà di restituire Bagnoli alla originaria vocazione turistica.

I FINANZIAMENTI
L’intento è scritto nel Programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana, di cui si sta occupando Invitalia, a partire dal 2016, in qualità di soggetto attuatore del governo. Nel Praru è stata individuata la destinazione urbanistica dell’area, tuttavia, «lo stesso – ha rilevato la Corte – presenta criticità sia sotto il profilo della definizione delle strutture da realizzarsi, sia sotto quello di una non puntuale previsione finanziaria». La fotografia scattata nel novembre 2020 dalla magistratura contabile mostra un’opera che non si è fermata a causa dell’emergenza sanitaria. Il profilo di Bagnoli e Coroglio, infatti, nonostante i numerosi investimenti, appare immutato, come rileva anche la Corte: «Gli interventi nell’area hanno comportato un recente finanziamento assegnato ad Invitalia s.p.a. di 442,7 milioni di euro (di cui 87,5 milioni effettivamente erogati), che si aggiungono ai 177 milioni e 285 milioni erogati ai precedenti soggetti attuatori e che hanno consentito, finora, di realizzare soltanto attività di studio e di caratterizzazione delle aree, propedeutiche alla progettazione degli interventi di bonifica». Il precedente soggetto attuatore, Bagnolifutura spa, è fallita con un danno erariale stimato in 13 milioni di euro.

LA SPAURACCHIO BAGNOLI
Svimez si augura di non replicare all’Ilva Taranto la “fallimentare esperienza di una bonifica infinita come avvenuto in altre aree del Sud, quale Bagnoli». Similmente a quanto suggerito per l’acciaieria pugliese, è stato proposto di inserire il recupero dell’ex Italisider tra i progetti del Pnrr. Per Bagnoli, i fondi europei sembrano però un’opportunità ormai lontana visto che “la scadenza per inviare i documenti necessari è il 15 aprile e – ha ricordato Flores – è necessario stabilire se c’è la volontà o no con il ministro per il Sud». La titolare del dicastero, Mara Carfagna, in occasione dell’anniversario dell’incendio della Città della Scienza si era già espressa in merito alla possibilità un apposito tavolo per la bonifica di Bagnoli, ma nulla è stato detto riguardo ai fondi del Recovery.

NON SOLO UN PROBLEMA DI SOLDI, ANZI
«A Bagnoli non sono mancati i soldi, ma la capacità amministrativa», ha rilevato in più occasioni il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. A chi lamenta l’immobilità delle istituzioni coinvolte nella bonifica, Domenico Arcuri, ad di Invitalia, ha ricordato che fino a luglio 2019 l’area era sequestrata e quindi «era difficile intervenire, bisognava chiedere il permesso anche per entrare». Un pasticcio di competenze in capo a tre attori principali: Comune, soggetti attuatori e Stato centrale.

L’AMIANTO “CRESCENTE”
Sotto la gestione Flores e Arcuri sono state fatte 64 gare e avviati 11 cantieri, i più importanti dedicati alla rimozione dell’eternit, vero fulcro della rigenerazione di Bagnoli. La bonifica dell’amianto, secondo il piano diffuso da Invitalia, dovrebbe terminare nell’ottobre 2021, ma «più si scava e più la quantità di amianto aumenta. Bagnoli è interamente costruita su questo materiale», spiegano ad Agenzia Nova i funzionari dell’Asl Napoli 1 addetti alla supervisione della procedura in corso. L’azienda sanitaria locale, attraverso il dipartimento di igiene e prevenzione, è infatti incaricata di controllare che l’opera di rimozione non causi danni all’ambiente, alla popolazione e ai lavoratori impegnati nella bonifica. L’opera quindi procede, ma neanche gli esperti possono dire quando esattamente l’amianto smetterà di emergere: «Sottoservizi degli edifici, canali di scolo e altro: è tutto in amianto nella zona flegrea». Anche la rimozione della colmata di cemento in mare, su carta prevista per la fine dell’anno prossimo, potrebbe slittare. L’opera, infatti, non è nella disponibilità di Invitalia, ha fatto presente Claudio Collinvitti, program manager per Bagnoli. Solo per la dismissione della colmata sono stati già stanziati 141 milioni di euro e approvata una legge apposita, prevista anche nel Praru. Tuttavia Flores ha rilevato che «potrebbe essere più rischioso rimuoverla che lasciarla dov’è». Il rischio è liberare nel golfo agenti dal forte potere inquinante come amianto e diossine. Alle parole del commissario la classe politica campana ha risposto con una levata di scudi di cui si è fatta portavoce la consigliera regionale del Movimento 5 stelle, Maria Muscarà: «La rimozione della colmata è uno dei passaggi fondamentali di una legge che ha recepito anni di battaglie di ambientalisti, attivisti e cittadini liberi, ed è la condizione necessaria per dare il via al processo di bonifica». «E’ ora che si concluda una miserevole vicenda – sottolinea – che vede avvicendarsi percettori di bonifici, più che bonifiche».

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