Frode sui carburanti tra Campania e Puglia, un affare da 30milioni di euro

Approfondimento “Febbre oro nero” n.1. I particolari dell’inchiesta dei carabinieri e della guardia di finanza di Salerno e Taranto

Profitti per 30milioni di euro l’anno dal sodalizio criminale che si occupava di frodi sui carburati, scompaginato dall’operazione condotta da carabinieri e guardia di finanza di Salerno e Taranto, coordinati dalle Dda di Potenza e Lecce che oggi ha visto l’esecuzione di 45 ordinanza di custodia cautelare.

Un gruppo che in queste ore “si caratterizzava per la capacità di controllo del territorio, con conseguente controllo dei traffici illeciti sviluppati nel contesto ambientale di riferimento, con conseguente reimpiego delle risorse economiche in numerose attività economico-commerciali, alcune delle quali direttamente riconducibili all’organizzazione anche attraverso una fitta rete di prestanome, che, si è caratterizzata per un uso della violenza e delle armi che venivano messe al servizio della strategia criminale volta ad acquisire il controllo di attività economiche e, in particolare, quella della distribuzione degli idrocarburi rivelatasi, come detto, estremamente lucrosa”. L’attività illecita “ha fruttato rilevantissimi profitti, quantificati in circa 30.000.000 ogni anno”.

I TRAFFICI
Venivano vendute ingentissime quantità di carburante per uso agricolo, che beneficia di particolari agevolazioni fiscali, a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, assai spesso utilizzando le cosiddette “pompe bianche”.

I tarantini, oltre che per il raggiungimento delle proprie finalità, fornivano ai lucani periodicamente, un elenco di nominativi le cui identità fiscali e i libretti UMA venivano clonate in modo che le imprese del sodalizio campano/lucano (come vedremo di derivazione casalese) potesse fatturare fittiziamente la vendita del carburante per uso agricolo a tali, ignari, imprenditori agricoli, mentre i realtà il prodotto veniva venduto in nero a operatori economici che lo immettevano fraudolentemente nel mercato per autotrazione con guadagni di circa il 50% sul costo effettivo di ogni litro di benzina e nafta venduti. Una vera e propria miniera di oro nero.

L’AFFARE
L’indagine ha confermato come la grande criminalità organizzata e le mafie nazionali, oramai, si finanzino “se non in via esclusiva, in via assolutamente prevalente”, in uno con il traffico di stupefacenti, attraverso queste attività illecite di contrabbando che, nell’attualità, hanno raggiunto proporzioni gigantesche, cui mai si era arrivati nel passato.

Il meccanismo illecito venuto alla luce, sfruttando le maglie di una normativa che si è stratificata nel tempo, ha paradossalmente incentivato un giro di frodi all’Iva e di evasione delle accise, che, con poco rischio, ha consentito a una “imprenditoria criminale e mafiosa di frodare lo Stato e mettere in un angolo la concorrenza onesta, accumulando in poco tempo centinaia di milioni di euro”.

IL FILONE TARANTINO
Il filone investigativo che ha riguardato la provincia di Taranto, ha, in particolare, fatto emergere l’esistenza di una associazione di stampo mafioso – risorta dalle ceneri di altri sodalizi neutralizzati da precedenti attività investigative – che si è ricompattata attorno alla figura tarantina di Michele Cicala, già condannato con sentenze definitive anche per estorsione aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso ed associazione per delinquere, con legami con componenti del clan tarantino Catapano – Leone.

Inoltre, i due sodalizi, attraverso meccanismi informatici, ingannavano il sistema telematico dell’Agenzia delle Entrate, che non era in grado di consegnare la fattura elettronica al fittizio cliente/agricoltore apparente destinatario del carburante che, quindi, rimaneva inconsapevole della finta operazione di vendita effettuata utilizzando il suo nominativo.

IL FILONE VALLO DI DIANO
Sul versante del Vallo di Diano l’indagine – avviata su iniziativa di questa Direzione Distrettuale Antimafia alla fine del 2018 – partiva da una delega alla polizia giudiziaria ( in una fase iniziale i Carabinieri della Compagnia di Sala Consilina e del Nucleo Investigativo di Salerno, poi anche la GdF di Salerno) di procedere ad un’analisi ad ampio spettro sul territorio del basso salernitano (che solo negli ultimi anni è passato alla competenza della DDA di Potenza) allo scopo di individuare operatori commerciali prestatisi come terminale occulto per il reinvestimento di capitali illeciti da parte di sodalizi criminali esogeni.

L’attenzione è stata subito concentrata sulla posizione della società carburanti Petrullo di San Rufo, in provincia di Salerno, e più in generale sulle società di carburanti del Gruppo Petrullo, la quali – per la dinamica delle loro dimensioni, struttura, relazioni e comportamenti ‘spia’ – palesava una serie di profili di incongruità, quali l’inspiegabile aumento esponenziale dei fatturati e degli investimenti nel giro di pochi anni.

Dall’inizio del 2019, sono state quindi eseguite – sia dalla DDA di Potenza che da quella di Taranto e dalle rispettive polizia giudiziarie – mirate attività tecniche (oltre alle classiche intercettazioni telefoniche, è stato anche fatto ricorso a captatori informatici, dispositivi gps e microfoni ambientali) che, nel corso dei complessivi 14 mesi dell’inchiesta – supportata dalle attività svolte Nucleo di Polizia Economica Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno che, sulla base di autonomi input info-investigativi, aveva avviato (alla fine del 2017) una verifica fiscale ai fini delle accise e dell’IVA nei confronti delle società del Petrullo – al fine di appurare potenziali condotte evasive poste in essere nella compravendita di prodotti petroliferi – che ha portato la DDA di Potenza a contestare ai componenti del gruppo economico criminale facente capo a Petrullo ed ai Diana oltre che i numerosissimi reati di contrabbando, frodi all’IVA, estorsioni e truffe, anche il delitto di associazione a delinquere aggravata dalla finalità di agevolare il clan dei casalesi, attraverso la penetrazione in un nuovo territorio ancora immune da tale fenomeno (quello del Vallo di Diano) di una imprenditoria criminale apripista del sodalizio mafioso.

Fin dai primissimi riscontri, è stato accertato che la società, attiva nel mercato del commercio di prodotti energetici, era in concreto divenuta il canale privilegiato attraverso il quale la famiglia Diana (inquisita per aver “avvelenato”, nel tempo, la propria terra di origine con il traffico di rifiuti) si era infiltrata nel tessuto economico-sociale del Vallo di Diano, stringendo a questo scopo un pactum sceleris con Massimo Petrullo, titolare dell’omonima società di carburanti ed avamposto dei Casalesi in quel territorio e con altri esponenti dell’imprenditoria locale.In ragione della complessità della materia sotto il profilo fiscale, è stato affidato al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno e Taranto il primario compito di quantificare e certificare l’illecito profitto ottenuto dal sodalizio attraverso la sistematica evasione di accise ed IVA, affiancando gli investigatori dell’Arma nella ricostruzione delle diverse fasi dell’articolata frode.

Alla luce degli elementi indiziari raccolti durante le indagini tecniche e l’analisi delle segnalazioni per operazioni sospette, nonché delle risultanze delle attività amministrative svolte dai Finanzieri salernitani, il contesto investigativo è stato esteso a partire almeno dal 2015, anno in cui sono stati rilevati i primi contatti tra il Diana Raffaele e Petrullo Massimo ed i rapporti commerciali tra questi ed aziende del casertano (area, peraltro, sotto l’influenza anche della stessa famiglia Diana) e poi quelli stabili con le aziende riferibili al clan mafioso tarantino.

I capitali così illecitamente acquisiti venivano successivamente reimpiegati, tra l’altro, nell’acquisizione di beni immobili e quote societarie, realizzando un’economia illecita ‘circolare’, che ha permesso alla famiglia Diana di affermarsi gradualmente quale player commerciale di riferimento nella compravendita illegale di idrocarburi nel Vallo di Diano, alterando pertanto le dinamiche del libero mercato e della concorrenza.

Tra i due gruppi, quello campano/lucano e quello tarantino, nondimeno, dopo una stretta e proficua collaborazione, sono via via sorte forti fibrillazioni, soprattutto legate al fatto che il Petrullo, resosi conto di aver quasi completamente perso la concreta gestione della propria società (ormai di fatto in mano ai Diana), aveva tentato di accordarsi in segreto con i tarantini.

Tali attriti (era stato perfino assoldato un killer per uccidere Raffaele Diana, tentativo poi abbandonato) non sfociati in una vera e propria “guerra” solo in ragione del mutuo interesse a non sollevare eccessivi allarmi sulle attività illecite perpetrate, estremamente lucrose per entrambe le parti. Varie, del resto, le ulteriori condotte illecite accertate al termine delle investigazioni (estorsione, illecita detenzione di armi, turbata libertà degli incanti, dichiarazione fraudolenta, falsità ideologica e nella tenuta dei registri, favoreggiamento personale, rivelazione di segreto e corruzione per atti contrari ai propri doveri, etc.), tra cui anche la partecipazione ad una gara per la fornitura di carburanti a favore del Consorzio di Bonifica dei Bacini del Tirreno Cosentino, aggiudicata attraverso un accordo irregolare, garantito dalla vicinanza con un esponente della criminalità locale, in grado di imporsi anche in un territorio differente da quello di elezione.

È stato accertato il pieno coinvolgimento in questo episodio di un dipendente del Consorzio, oggi sottoposto agli arresti domiciliari.

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