L’assurda guerra sul pomodoro pelato di Napoli Igp tra Campania e Puglia

La Regione del presidente Emiliano dice di no all’indicazione geografica protetta chiesta dal mondo della trasformazione dell’oro rosso. Ma gli industriali vanno all’attacco. Le due posizioni in campo

«Ma mica i pomodori pelati nascono con le scatole sull’albero…». Basterebbe questa battuta per chiudere una polemica incomprensibile divampata in Puglia contro la richiesta di un comitato promotore e dell’Anicav, l’associazione degli industriali conservieri, di ottenere l’Igp per il pomodoro pelato di Napoli. In pratica, quello che i promotori della richiesta di indicazione geografica protetta intendono tutelare è il prodotto industriale finito, quello che è contenuto nella scatola di latta, per essere chiaro, dopo i vari passaggi che si ottengono nelle aziende e, di conseguenza, tutta la filiera, quindi anche il prodotto agricolo. Il pomodoro, appunto, coltivato in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata che può essere utilizzato. Dal lato pugliese, al di là di sterili problemi di identità culturale, si teme che con l’Igp, per i pelati si possa utilizzare pomodoro non pugliese e, contemporaneamente, la stessa Coldiretti Puglia afferma che il 90% di quello prodotto in Italia per la trasformazione, quello lungo, viene coltivato nella provincia di Foggia. Insomma, si teme di perdere quota di mercato ma i conservieri dove andrebbero a rifornirsi se non nel Foggiano, visto che in pratica quasi tutto questo pomodoro si produce lì? Insomma, nella paura del mondo agricolo c’è già la risposta che ne determinano la sua assoluta inconsistenza. Anzi, a beneficiarne della tutela Igp sarebbe tutta la filiera e chi produce in Italia il 90% del pomodoro utilizzato per i pelati? Proprio quelli che protestano perché non lo vogliano. Il rischio della sindrome di Tafazzi per la Puglia è altissimo. Ma a ricevere un danno forte è anche la Campania, lì dove tutte la trasformazione del pomodoro in pelato è nato nel 1880 e viene realizzato da allora, lì dove sono stati inventati e applicati macchinari e processi produttivi . Basti pensare che nell’Agro nocerino, si concentra il 70% della produzione di pelato in Italia, il 5% nella Valle dell’Irno, l’80% in totale nel Salernitano.

LE POSIZIONI IN CAMPO
LA PUGLIA. «Ho già avuto contatti con il ministero delle Politiche agricole, stiamo istruendo il fascicolo e a breve sarà pronto. Non arretreremo nemmeno di un millimetro», annuncia l’assessore alle Politiche agricole Donato Pentassuglia, anticipando la volontà della Regione Puglia di opporsi in tutte le sedi alla richiesta di riconoscimento Igp del pomodoro pelato di Napoli. «La levata di scudi sarà netta – aggiunge l’assessore regionale -… nel Foggiano si concentra il 90% della produzione nazionale del pomodoro lungo. La Puglia ha 60 giorni dalla registrazione per fare opposizione: Non ci sono dubbi che lo faremo, il fascicolo e’ quasi istruito». Anche Coldiretti Puglia e’ al fianco della Regione contro il ‘no’ secco alla richiesta di riconoscimento IGP del pomodoro pelato di Napoli. L’associazione ribadisce la contrarietà senza condizioni al nuovo tentativo di ottenere il riconoscimento comunitario «che non rappresenta la realtà produttiva del pomodoro, ma solo della trasformazione – dichiara presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia -… Bisogna uscire dalla grande ambiguità di commercializzare un prodotto che può fregiarsi di un marchio comunitario così fortemente distintivo, senza che ci sia alcun obbligo di utilizzare i prodotti agricoli del territorio al quale la indicazione si ispira. Il 40 percento del pomodoro italiano viene proprio dalla Capitanata, che da sola produce il 90% del pomodoro lungo. La provincia di Foggia è leader nel comparto, con 3.500 produttori di pomodoro che coltivano mediamente una superficie di 32 mila ettari, per una produzione di 22 milioni di quintali ed una Produzione lorda vendibile di quasi 175.000.000 euro».

L’ANICAV. – «Riteniamo sia giusto fare chiarezza dopo le polemiche generate dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della richiesta di riconoscimento del Pomodoro Pelato di Napoli IGP – afferma il Presidente di Anicav, Antonio Ferraioli-. L’indicazione geografica protetta, come si evince molto chiaramente dal Disciplinare di produzione, non riguarda assolutamente la materia prima ma il prodotto trasformato, appunto il pomodoro “pelato”. Per questo motivo non si fa alcun riferimento alla provenienza del pomodoro fresco, che tutti sanno venire per la maggior parte dalla Puglia». Giovanni De Angelis, direttore Generale di Anicav chiarisce: «Anche dal punto di vista formale – aggiunge il riconoscimento di una IGP deve essere legato ad una sola delle fasi di ottenimento del prodotto (produzione, trasformazione o elaborazione) che deve avvenire in una specifica area geografica e in questo caso, ribadisco ancora una volta, ci riferiamo alla zona dove il pomodoro viene storicamente trasformato. È il caso di ricordare che la delimitazione geografica dell’area di trasformazione del pelato IGP, di cui discutiamo, include oltre la Regione Campania, dove viene trasformato oltre l’80% del pelato lungo, anche l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata e la stessa Puglia». Il Dg aggiunge: «La questione sollevata, che pare essere la denominazione “Napoli” non tiene conto né della esigenza di una denominazione che abbia una comprovata storicità né della enorme riconoscibilità che “Napoli”, non solo come città ma come simbolo del Mezzogiorno d’Italia, come filosofia e stile di vita, rappresenta in Italia e nel mondo». Il presidente si rivolge direttamente a chi si oppone alla richiesta di Igp per il pomodoro pelato di Napoli: «Faccio appello alla Regione Puglia e a quanti in queste ore stanno levando scudi – conclude Antonio Ferraioli – di mettere da parte ogni tipo di polemica. Lavoriamo nella stessa direzione, cercando di fare sistema nell’interesse dell’intera filiera. È innegabile che il riconoscimento di una IGP per il pomodoro pelato potrà portare vantaggi non solo alla parte industriale ma anche a chi coltiva pomodoro lungo da industria».

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